venerdì 27 ottobre 2017

Alla Festa del Cinema presentati i primi tre film, fra guerra e rivolta, emozioni e violenza, Resistenza e amore: "Detroit", "Hostiles" e "Una questione privata"

Teso ed emozionante, duro e crudo, “Detroit” sconvolge lo spettatore con la ricostruzione della ribellione afroamericana - nel ’67 - della città delle automobili (allora), partendo con immagini d’animazione che raccontano come gli afroamericani vi siano emigrati in cerca di lavoro e finiti in un quartiere ghetto. Infatti la storia è ispirata alle sanguinose rivolte che sconvolsero Detroit – sempre sceneggiata da Mark Boal -, dato che sulle strade della città si consumò un vero e proprio massacro ad opera della polizia per

cui era stata chiamata addirittura la guardia nazionale. E si concluse con un bilancio di tre afroamericani uccisi a sangue freddo e centinaia di feriti gravi. Tutto ebbe inizio con una ‘semplice’ retata a un club privato di cui furono testimoni gli abitanti del quartiere, dando inizio alla rivolta antirazzista. Quindi, la rivolta successiva portò disordini e distruzioni, e si concluse con i fatti accaduti quella terrificante notte al Motel Algiers in cui sono stati tenuti in ostaggio e torturati dei giovani
afroamericani (e due ragazze bianche che si trovavano con loro) durante la ricerca di un presunto cecchino (in realtà si trattava di una pistola giocattolo) e che finì con l’assurda morte di tre di loro. Bigelow, con uno stile quasi documentaristico, ci trascina dalle strade all’interno del Motel, in cui siamo testimoni impotenti di ogni sorta di tortura psicologica e fisica esercitata dai poliziotto, tanto che ad un certo punto persino la guardia nazionale si tirò fuori. Per concludersi con un processo farsa che anziché condannare i poliziotti li assolse.
“In questo caso – ha dichiarato l’autrice -, volevo mettere lo spettatore dentro il Motel Algiers, così da fargli vivere l’esperienza quasi in tempo reale”. Mentre per gli esterni, insieme a Barry Ackroyd, la regista ha inserito dei filmati veri della ribellione che si mescolano perfettamente al girato odierno. Boal aggiunge: “I film storici possono risultare leggermente antisettici, specialmente se sono passati cinquant’anni (si compiono proprio quest’anno ndr.). Solo quando incontri le persone che sono state realmente coinvolte, inizi ad apprezzare che i fatti storici in realtà sono la storia di persone vere. E questo è diventato il fulcro della mia sceneggiatura”.
Certo, Bigelow non cerca né può dare risposte e/o soluzioni ad un problema così complesso e ancora oggi duro a morire (vedi i fatti di Charlottesville, per ricordare i più recenti) e per farlo confida nella presa di coscienza dello spettatore (soprattutto americano, ma non solo), dato che sostiene che il mezzo cinematografico “parla al subconscio, chiedendo allo spettatore quasi un coinvolgimento attivo”. Se i ritratti psicologici privilegiano le ‘vittime’, ma non sempre, visto che i poliziotti sadici e violenti ci riportano in mente altri episodi della storia americana, dal Ku Kux Klan ad oggi, quasi a ricordarci che spesso i razzisti più fanatici (neonazisti) trovano posto nella polizia, dove sfogano tutto il loro odio
contro persone innocenti e indifese. Bigelow, infatti, nella terza e ultima parte del film analizza le conseguenze – qualcuno dice in modo addirittura schematico -, soprattutto sulle vittime per le quali l’esistenza non sarà più la stessa, tra rassegnazione e sogni infranti, indignazione (anche da parte dello spettatore) e impotenza, quando le illusioni di pari opportunità vengono cancellate. Secondo noi era l’unico modo di raccontare una storia da non dimenticare, al di là della denuncia. Una delle tante di questo nostro mondo. Non a caso l’episodio
dell’Algiers ci riporta in mente il ‘nostro’ Diaz (Genova) e il film di Vicari. Presentato oggi anche il nuovo film dei fratelli Taviani, liberamente tratto dal libro omonimo di Fenoglio, “Una questione privata” con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Che non è l’ennesimo film sulla Resistenza. “Abbiamo sempre amato Fenoglio – confessa Paolo, Vittorio ultimamente non partecipa alle conferenze stampa – che consideriamo il più grande scrittore italiano, ma che non siamo mai riusciti a portare sul grande
schermo per causa di diritti già presi da altri, siamo sempre arrivati tardi. Ma un pomeriggio di quattro anni fa uno di noi due, a Roma, l’altro a Salina, all’insaputa l’uno dell’altro, ascoltiamo la voce profonda e da noi molto amata di Omero Antonutti, che rilegge ‘Una questione privata’. D’impeto, ancora ciascuno per suo conto, telefoniamo a Omero. ‘Ma sono dieci anni che l’ho inciso!’, ride e aggiunge ‘Cinque minuti fa mi ha telefonato per ringraziarmi tuo fratello! Che succede?’ E nel giro di pochi giorni, grazie a questo nostro grande attore, sapemmo quale sarebbe stato il nostro film.”
“E’ la storia d’un impazzimento d’amore. Una storia d’amore in contraddizione col momento storico in cui avviene, il clima di violenza degli uomini che si combattono, si uccidono. L’orrore della guerra corre parallelo alla corsa di Milton (il protagonista ndr.) alla ricerca della verità. Non gli basta la mezza verità suggerita malignamente dalla custode, vuole tutta la verità. L’impazzimento d’amore gli fa dimenticare la Resistenza che l’ha portato in montagna a combattere il fascismo. Oggi il fascismo torna o tenta di tornare. E’ proprio di questi giorni un manifesto di Forza Nuova copiato proprio da quello della
Repubblica di Salò in cui un negro allunga le mani su una donna bianca indifesa. E poi quello degli adesivi dei tifosi della Lazio con il ritratto di quella bambina, che non riesco a nominare, perché è figlia di tutti noi”. “Quando scegliamo un libro – conclude -, un racconto che sia di Tolstoj o Pirandello, riconoscenti diciamo: Grazie Tolstoj, o grazie Pirandello, ma ora noi andremo per la nostra strada che è quella del cinema, vi tradiremo per costruire quell’organismo audiovisivo che è un film, non letteratura. Proprio Pirandello
diceva che le storie sono come dei sacchi vuoti, afflosciati a terra. Solo se li riempi con i tuoi sentimenti e pulsioni allora stanno in piedi”. Ieri, invece, era stato presentato anche “Hostiles” scritto e diretto da Scott Cooper con Christian Bale, Rosamund Pike e Wes Studi. Un altro oscuro, duro e crudo pezzo di storia americana, in un western malinconico e spietato fra l’ultimo John Ford (soprattutto da “Sentieri selvaggi” e “Soldati a cavallo” a“Il grande sentiero”) e Sam Peckinpah.
Nel 1892, un leggendario capitano dell’esercito (Bale) accetta con riluttanza di scortare un capo guerriero Cheyenne in punto di morte (Studi) e la sua famiglia fino alle terre natie. I due vecchi rivali affrontano senza fine, mille miglia di cammino da Fort Berringer, nel Nuovo Messico, alle praterie del Montana. Durante il lungo ed estenuante viaggio incontreranno una giovane vedova (Pike) i cui cari sono stati assassinati brutalmente (tre figlie) da un banda di ostili Comanche. Proprio questa terribile scena fa da prologo al film.
Il film diventa un amara riflessione sull’uomo e la violenza, su guerra e vendetta, sull’ambiguità del male (l’uccidere che diventa abitudine) a cui non sfugge nessuno, fra potere e sopravvivenza, odio e (ancora) razzismo. José de Arcangelo