giovedì 30 luglio 2015

Una 72a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia all'insegna di una "sorprendente" selezione tra opere prime e pellicole di grandi maestri

La selezione ufficiale del Festival di Venezia quest’anno è “sorprendente”, questo è emerso alla conferenza stampa di presentazione, stando all’aggettivo più usato nel discorso dal Direttore Alberto Barbera, cercando inutilmente dei sinonimi. A Roma, come è tradizione al Grand Hotel Excelsior, è stato presentato il programma definitivo della 72a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015 dallo stesso Barbera e dal Presidente della Biennale Paolo Baratta (nella foto ASAC).

Infatti, su 21 film in concorso ben 16 sono opere prime o di registi sconosciuti a livello internazionale, ma tutte le opere – anche fuori concorso o della sezione Orizzonti - offrono un’estrema varietà di approcci, punti di vista e visioni, dal film d’autore al piccolo film sperimentale, dal grande spettacolo hollywoodiano alla (ri)scoperta del genere.
“La selezione di quest’anno – ha esordito Baratta – con un alto numero di opere di grandi maestri, il gran numero di registi ‘debuttanti’, alcuni importanti ritorni e la segnalazione di opere provenienti da continenti che nel recente passato ci potevano apparire un po’ appartati (quest’anno l’America Latina) possiede la vitalità che risponde al nostro fine”.
“Sempre più, il continente del cinema – ha ribadito Barbera – si presenta come una geografia dai confini variabili e dall’articolazione interna sottoposta a continui cambiamenti quasi fosse l’esito di un quotidiano movimento di assestamento. Se volessimo pensare a una forma, sarebbe forse oggi quella di un arcipelago, composto da isole fluttuanti alcune delle quali tendono ad aggregarsi temporaneamente per poi tornare ad allontanarsi le une dalle altre. Il fatto è che dal punto di vista creativo e produttivo, la geografia del cinema segue inevitabilmente quella del mondo come lo abbiamo visto trasformarsi negli ultimi anni. Non esiste più un centro, né tantomeno un mono-duopolio (il cinema americano e quello europeo, per dirla sbrigativamente) ai margini del quale proliferavano altri più o meno ridotti agglomerati destinati a generare un equilibrio di sostanza che bastava a regolare le cose. Il Novecento è finito anche da questo punto di vista. Ci muoviamo in un territorio nuovo, che ha nuove regole, e anche una nuova forma. Solo che si tratta di una forma cangiante, e il quadro di riferimento si modifica con molta più velocità di quanto riuscissimo a immaginare non molti anni fa”.
Sono 55 i film della mostra “forse qualcosa di più” - confessa il direttore - perché ci sarà naturalmente qualche sorpresa dell’ultima ora. “La pattuglia italiana del concorso ufficiale” è composta da quattro lungometraggi, “uno più del solito e tutti belli, un segnale forte e positivo sull’ottimo stato di salute del nostro cinema (e ci sono stati ben tre a Cannes). Però, come ha dichiarato il produttore Riccardo Tozzi, forse oggi si producono troppi film, e con le stesse risorse di due anni fa, quando ne erano circa la metà, e in questo modo si perde in qualità. Però salute vuol dire soprattutto mantenere alta la qualità”.
I titolo italiani sono: “Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio, “Per amore vostro” di Giuseppe M. Gaudino di cui si sa ben poco e Barbera ha soltanto svelato che si tratta della storia di una madre di camorra con un figlio sordomuto però raccontata in modo inconsueto e con un’immensa Valeria Golino; “A Bigger Splash” di Luca Guadagnino con Tilda Swinton e “L’attesa” di Piero Messina con Juliette Binoche, dei quali forse se n’è parlato già troppo. Degli altri diciassette,
sono quattro anche gli americani: “Heart of a Dog” di Laurie Anderson, “un film di poesia”; “Equals” di Drake Doremus con Kristen “Twilight” Stewart; “Beasts of No Nation” di Cary Fukunaga (il fortunato autore del televisivo “True Detective”) e “Anomalisa” lungometraggio d’animazione dello sceneggiatore Charlie Kaufman e Duke Johnson; e poi “Looking for Grace” di Sue Brooks (Australia), “Abluka - Frenzy” (Turchia-Francia-Qatar); “Remember” di Atom Egoyan (Canada-
Germania), per la prima volta in concorso a Venezia, con i grandi vecchi di Hollywood (non solo) Christopher Plummer e Martin Landau; “Marguerite” di Xavier Giannoli (Francia-Repubblica Ceca-Belgio); “Rabin, the Last Day” di Amos Gitai (Israele-Francia); “The Endless River” di Oliver Hermanus (Sudafrica-Francia); “The Danish Girl” di Tom Hooper (GB-Usa) con il premio Oscar Eddie Redmayne e l’attivissima Alicia Vikander; “11 minut – 11 Minutes” del maestro polacco Jerzy Skolimowski (Polonia-Irlanda); del russo Aleksandr Sokurov “Francofonia” (Francia-Germania-Paesi Bassi) che, dopo l’Ermitage (“Arca Russa”) riprende il Louvre per raccontare la storia della
Francia partendo dall’occupazione; ritorno dell’argentino Pablo Trapero (scoperto dalla SIC anni fa con “Mondo Grua”) che porta “El clan”, coproduzione con la Spagna; prima volta per il Venezuela con “Desde allà” di Lorenzo Vigas, già sceneggiatore per Guillermo Arriaga, infatti, il film è coprodotto dal Messico; la Francia (ma è coproduttrice di quasi tutti gli autori extracomunitari) si presenta con “L’hermine” di Christian Vincent con Fabrice Luchini; per concludere con l’artista cinese Liang Zhao, esordiente al cinema col documentario “Behemoth”, infatti, è coprodotto dalla francese Arté.
Fuori concorso, il film d’apertura – di cui se ne è parlato ampiamente nei giorni precedenti e girato in parte nelle Alpi italiane e a Cinecittà – “Everest” dell’islandese Baltasar Kormakur coprodotto da Usa e GB; e il film di chiusura del cinese Guan Hu “Lao pao er” (Mr. Six), grande produzione destinata ad un grande pubblico (letteralmente in Cina) che in patria uscirà a Natale e viene presentato in anteprima mondiale al Lido.
Omaggio al recentemente scomparso Claudio Caligari col suo film postumo “Non essere cattivo”, prodotto e ultimato da Valerio Mastandrea, in cui racconta gli anni Novanta come aveva fatto, con la periferia romana, Pasolini negli anni Sessanta. Altra finzione fuori concorso: “Go with Me” di Daniel Alfredson con Anthony Hopkins (Usa-Canada-Svezia); “Black Mass” di Scott Cooper che segna il ritorno di Johnny Depp al Lido; “Spotlight” di Thomas McCarthy con Michael Keaton e Mark Ruffalo,
quasi un film inchiesta sullo scandalo della pedofilia nella Chiesa di Boston; il ritorno di un vecchio maestro del cinema messicano (dopo 25 anni), Arturo Ripstein con “La calle de la amargura” (La via dell’amarezza) e una piccola chicca di Martin Scorsese “The Audition”, un corto di 16 minuti, su commissione, con un cast d’eccezione: Robert De Niro, Leonardo DiCaprio e Brad Pitt, assecondati dal regista stesso.
E ancora documentari, dato che secondo Barbera non c’è un vero fil rouge quest’anno, ma tutti i film prendono spunto dalla realtà, da fatti storici o di cronaca – di ieri e di oggi - realmente accaduti. “Winter on Fire” di Evgeny Afineevsky (Ucraina), “De Palma”, naturalmente Brian, un regista di solito schivo a interviste e incontri, che ai giovani colleghi Noah Baumbach e Jake Paltrow (fratello di Gwyneth) racconta vita, carriera e opere; “Janis” ritratto della mitica e rimpianta cantante anni ’70 firmato Amy Berg; “Sobytie” (The Event) del russo Sergei Loznitsa (Paesi Bassi/Belgio) sul colpo di stato a Yeltsin, “L’esercito più piccolo del mondo” dell’italiano
Gianfranco Pannone sulla vita delle Guardie Svizzere in Vaticano; “N ari xiawu” (Afternoon) del cinese (di Taipei) Tsai Ming-Liang che racconta il suo cinema con Lee Kang-Sheng. Proiezione speciale per “Human” di Yann Arthus-Bertrand, famoso per le sue foto dall’alto che stavolta mette a confronto in un documentario riprese del Pianeta visto dall’alto con primi piani di persone che raccontano se stesse, ovvero “la bellezza del Pianeta e la tragicità dell’esistenza umana”. La rassegna ufficiale chiude col Leone d’Oro alla Carriera a Bertrand Tavernier che per l’occasione porta “La vie et rien d’autre” (La vita e niente altro, 1989) con Philippe Noiret e Sabine Azéma. Madrina della 72a. Mostra sarà l’attrice Elisa Sednaoui che presenterà le serate di apertura e di chiusura.
Anche la sezione Orizzonti presenta 18 lungometraggi, tanto che ricorderemo solo alcuni, oltre i due italiani, “Pecore in erba” di Alberto Caviglia, “un divertente mockumentary” e un inedito Renato De Maria che firma “Italian Gangster”, dove racconta trent’anni di storia italiana attraverso le imprese più eclatanti della mala nostrana, dalla Banda Cavallero al ‘solista del mitra’ Luciano Lutring. Tra gli altri il ritorno dell’americano (del Nord) Dito Montiel con “Man Down” con Shia LaBeouf e Gary Oldman e del messicano Rodrigo Plà con “Un monstruo de mil cabezas” (t.l. Un mostro da mille teste). Ma il Sudamerica è presente anche con film del Brasile, in coproduzione con Argentina, “Mate-me por favor” (gioca sul doppio senso del termine, l’infusione Mate e Matame, uccidimi) di Anita Rocha da Silveira; con Uruguay e Paesi Bassi, “Boi Neon” di Gabriel Mascaro. Sono inoltre rappresentati Iran, Israele, India, Danimarca, Nuova Zelanda, Grecia, per non parlare dei corti che sono una quindicina in concorso, e uno fuori concorso.
Non mancano nemmeno i consueti appuntamenti con i film restaurati Venezia Classici, stavolta quattro sono stati scelti e saranno presentati dal premiato Tavernier: “Pattes blanches” (Zampe bianche) di Jean Grémillon (Francia, 1949); “La lupa” di Alberto Lattuada (Italia, 1953); “Sommenstrahl” (Viva la vita) di Pàl Fejos (Germania/Austria 1933) e “A Matter of Life and Death” (Scala al Paradiso) di Michael Powell ed Emeric Pressburger (GB 1946). La giuria, presieduta dal regista Francesco Patierno, e composta da studenti di cinema, per la terza volta, assegnerà i premi Venezia Classici per il miglior film restaurato e per il miglior documentario sul cinema.
Tra gli altri 21 titoli selezionati per i premi “Aleksandr Nevskij” di Sergej M. Ejzenstejn (Urss, 1938), “Amarcord” di Federico Fellini (Italia, 1973), “Apenas un delinquente” (Appena un delinquente) di Hugo Fregonese (Argentina 1949); “Le beau Serge” di Claude Chabrol (Francia, 1958); “Leon Morin, pretre” (Leon Morin, prete) di Jean-Pierre Melville (Francia, 1961), “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini (Italia, 1975) – presentato in occasione del 40° anniversario della sua uccisione -; “Vogliamo i colonnelli” di Mario Monicelli (Italia 1973) anche per un omaggio al regista nel centenario della nascita che include un’installazione di Chiara Rapaccini, in arte RAP – compagna di una vita – ispirata alle fotografie del suo archivio privato; e “Heaven Can Wait” (Il Paradiso può attendere) di Ernst Lubitsch (Usa, 1943).
Novità di questa edizione è Il Cinema nel Giardino, film, incontri, visioni all’ombra del Casinò, destinate al pubblico locale e occasionale del festival, il tutto rigorosamente libero, gratuito e senza limitazioni, tranne quella della capienza della nuova arena all’aperto allestita nel perimetro dei giardino del Casinò, appunto. Ad aprire le serate l’incontro-colloquio con un artista, regista uomo di spettacolo che ha accettato l’invito di raccontare il proprio amore per il cinema o riflettere sul tema, oppure per dialogare intorno ai temi affrontati dal documentario o dal film proiettato subito dopo. Tra questi (anche se l’elenco non è ancora definitivo) Pif, Giuseppe Tornatore, Gianni Amelio, Arturo Brachetti, Vasco Rossi.
Infine, alla 72a. Mostra di Venezia verranno proiettati i tre lungometraggi selezionati, sviluppati e prodotti nell’ambito della terza edizione (2014/2015) di Biennale College - Cinema, laboratorio di alta formazione aperto a giovani filmmaker di tutto il mondo per la produzione di film a basso costo, lanciato dalla Biennale nell’edizione 2012. I tre film sono: “Baby Bump” opera prima di Kuba Czekaj (Polonia), Magdalena Kamiska (produttrice); “Blanka” opera prima di Kohki Hasei (Giappone), Faminio Zadra (produttore, Italia); ”The Fits” opera prima di Anna Rose Holmer (Usa), Lisa Kjerulff (produttrice). José de Arcangelo