sabato 10 novembre 2012

RFF. "Alì ha gli occhi azzurri" ma sono lenti a contatto nel sorprendente film di Claudio Giovannesi (in concorso)

Un sorprendente dramma in bilico tra sociale ed esistenziale, tra documentario e finzione, firmato Claudio Giovannesi, ovvero "Alì ha gli occhi azzurri", in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma e nelle sale dal 15 novembre. Non solo per

uno stilo realistico, anzi documentaristico - visto che l'autore proviene da questo campo -, ma perché senza retorica né falso moralismo né pregiudizi racconta le vicende quotidiane di un adolescente di origine egiziana, della sua ragazza italiana come l'amico Stefano, facendo affiorare le loro contraddizioni, tra integrazione e rifiuto, ma anche quelle culturali di entrambe le parti. Adolescenti in conflitto soprattutto con gli adulti, e non solo i genitori, ma anche con loro stessi. "L'idea (del titolo e delle lenti a contatto azzurre ndr.) viene da una poesia di Pasolini, Profezia - esordisce Giovannesi -, che prefigurava già nel 1962 sarebbe avvenuta una società multiculturale. Poi, quando ho conosciuto Nader (nome del protagonista e dell'attore non professionista, Sarhan ndr.) anche lui indossava lenti a contatto, e allora ci siamo permessi di utilizzare questo titolo".
"Volevo raccontare l'adolescenza nella società multiculturale italiana di oggi: la vitalità e la complessità dell'adolescenza più marginale - prosegue -, la turbolenta ricerca di un'identità, che l'origine non italiana del protagonista rende ancor più difficile, e l'emblema della seconda generazione italiana è Nader, con cui avevo già realizzato un documentario. Stavolta per lui è stato più difficile perché non doveva guardare in macchina, e doveva fare e dire anche cose che lui non fa. Raccontare la realtà verso la consapevolezza, anche se i due Nader sono simili, il film prevede una messa in scena, anche quando oltre lui sono presenti i suoi veri genitori, la fidanzata. Abbiamo lavorato su conflitti che esistevano veramente, un passato da microcriminale che nel documentario era più difficile mettere in scena".
"Frequentare i ragazzi - ribatte il cosceneggiatore Filippo Gravino -, passare pomeriggi interi ad ascoltarli, da cui abbiamo strappolato discorsi sentiti, anche della comitiva di Stefano. Giorni di ascolto in cui siamo stati delle spugne, poi con calma abbiamo lavorato sul materiale che avevamo raccolto per dare consistenza al racconto. Comunque, la parte più emozionante è stata passare del tempo insieme a loro". "All'inizio per me era molto complicato mimetizzarmi nel personaggio - confessa Nader Sarhan -, tornare ai tempi in cui avevo fatto il documentario, ma non sono riuscito a entrare nell'ottica. Poi, cominciate le riprese è stato più semplice, dopo quattro mesi di prove. Sulla mia fidanzata (italiana) è un problema che ciò ancora con mia madre, ma io cerco di evitare veramente che Stefano avvicini mia sorella. Le lenti a contatto sono l'aspirazione che avevo a 14 anni: sembrare italiano. E' una realtà passata, ma quella vera è la difficoltà di integrazione. Allora volevo essere troppo rispetto alla realtà".
"All'inizio eravamo spiazzati - condivide l'amico e 'collega' Stefano Rabatti -, poi è venuta una cosa dietro l'altra e l'abbiamo superata bene". "La mia parte è abbastanza reale - ribatte la ragazza di Nader, Brigitte Apruzzesi -, è stato semplice per me". "Il problema vero è giudicare senza sapere né frequentare le persone - afferma Nader -, se sei straniero vieni visto con occhio diverso. Le persone vanno conosciute a fondo, per quello che sono e che fanno, non per il luogo da dove provengono. Sono fatti abbastanza strani della nostra realtà di oggi". "Non è facile produrre un film in generale - dichiara il produttore Fabrizio Mosca -, ma in questo caso fortuna vuole che una volta presentato a Rai Cinema, il film è stato accolto subito. I soldi erano pochi e abbiamo dovuto rischiare, perché le sovvenzioni non erano sufficienti. Una troupe molto molto piccola, disposta a seguirci a Ostia per 5 settimane, ma il primo montaggio è stato un momento di grande felicità. E' un film vero, dove l'aspetto economico non conta. Sono tornato da Rai Cinema e ho avuto l'appoggio e la complicità di Valerio De Paolis (della Bim ndr.) che si è subito innamorato del film e ha deciso di farlo uscire fra pochi giorni. E' una sorta di 'combat film' partito in sordina e con pochi soldi".
"Quando mi hanno portato il progetto - dichiara Del Brocco di Rai Cinema - ho constatato che era molto in linea con la nostra realtà. Noi cerchiamo di produrre dei film che parlano il più possibile della nostra società, che siano importanti socialmente e civilmente. Un problema economico perché siamo quasi soli a finanziare, a vario titolo, più di 40 film all'anno. E la difficoltà di trovare finanziamento per film di qualità e/o d'autore si porrà anche nei prossimi anni. Siamo felici di aver dato una mano a priori e posteriori a questo film, e abbiamo raggiunto un obiettivo importantissimo: i migliori distributori italiani. Quindi, un progetto riuscito in tutte le sue componenti". "Pasolini non è un riferimento intellettuale, ma una condivisione artistica - chiarisce il regista -, che li vedeva in maniera pura, innocente. Lui metteva Bach, mettere musica sarebbe come emettere dei giudizi. I 'ragazzi di vita' erano solo profetizzati perché c'era la società dei consumi. Ora c'è il conflitto tra la cultura d'origine e quella d'adozione, islamica e consumistica".
"C'è un conflitto, una contraddizione che lui vive in modo dinamico, la presa di coscienza della contraddizione, la dinamica di una situazione conflittuale, ma ricca, lo scontro culturale che vale la pena di raccontare. L'integrazione dipende da entrambe le parti. Ma non c'è soluzione al conflitto che Nader porta dentro, tra amore e proibizione, tra la cultura di adozione e quella di appartenenza: resta solo la coscienza e la ricchezza della propria contraddizione". "La stessa cosa con mia sorella, è tutto reale, come la pensa mia madre su di me, come la penso io su mia sorella. Ma nel frattempo c'è stato un cambiamento per ritrovare una mia identità. Seguire la gente, la massa adesso non mi interessa niente, posso rimanere da solo. Sono egiziano, prima dicevo sono italiano".
E sulle rivoluzioni della primavera araba? "Non mi sono mai interessato di politica - conclude - anche perché non vivo lì, il mio paese è un altro". Naturalmente, tutti e tre i giovani si dicono disposti a continuare nel cinema, sempre che arrivino proposte. Intanto Brigitte fa la cameriera; Nader fa le serate nei locali mentre Stefano lavora nell'autoscuola del centro ACI. Oggi tutti e tre sono al centro dell'attenzione e la considera la migliore esperienza della loro vita. Una "bella esperienza che speriamo si ripropone". José de Arcangelo