martedì 1 novembre 2011

Al Festival di Roma presentati "Il cuore grande delle ragazze", un Pupi Avati Doc, e "Un cuento chino", una commedia sulle assurdità della vita

ROMA, 1 - E' il giorno di Pupi Avati, anche se il regista non ha potuto partecipare alla presentazione stampa perché ieri, proprio al Festival, ha avuto un leggero malore e sarà presente solo sul Red Carpet. Comunque "Il cuore grande delle ragazze" - nelle sale dall'11 novembre - è un Avati Doc. Una commedia sentimentale corale, come di consueto, da lui scritta e diretta, ambientata nel passato (nei ricordati anni Trenta) e nella provincia dell'Italia centrale, divertente e persino corrosiva (soprattutto nella prima parte) che disegna con un po' di malinconia l'Italietta che fu. Quindi un'opera nelle corde dell'autore che a tratti ci riporta a quelle da lui firmate negli anni Ottanta (da "Una gita scolastica" a "Storia di ragazzi e ragazze"), con un pizzico di nostalgia in meno, forse, e un po' di vetriolo in più.
"Lo spunto è arrivato da una perlustrazione che compio da tempo nei riguardi del mondo contadino di mia madre - confessa il regista - che fondava le sue radici nella cultura rurale in cui mi sono formato - a Sasso Marconi, vicino Bologna - e dove la mia famiglia era 'sfollata' a causa della guerra. Si sa che i primi anni di vita di una persona sono quelli che producono un 'imprinting' e io col tempo ho fatto di tutto per non liberarmi di quei ricordi: a quell'universo sono molto riconoscente e se sono diventato regista lo devo a quel contesto così particolare in cui ho imparato a fantasticare".
In una cittadina immersa nella campagna (girato a Fermo nelle Marche), la famiglia contadina Vigetti, Adolfo (Andrea Roncato) e Eugenia (Erica Blanc) ha tre figli: il piccolo Edo (Marcello Caroli), la 'rintanata' Sultana (Sara Pastore) e Carlino (Cesare Cremonini al suo esordio sul grande schermo), giovanotto molto ambito dalle ragazze e, quindi, dongiovanni impenitente apparentemente tontolone. Gli Osti invece sono i proprietari terrieri che hanno fatto fortuna e abitano in una casa padronale con le loro due figlie, tutte da maritare: le più attenmpate, Maria (Rita Carlini) e Amabile (Stefania Barca). Facendo buon viso a cattiva sorte, Sisto (Gianni Cavina) e Rosalia (Manuela Morabito) Osti accettano che il giovane contadino Vigetti corteggi le due sorelle maggiori con l'intento di sistemarne almeno una. Dopo un periodo di incontri con le due trentenni nel salotto di casa, l'ormai affiatato terzetto viene turbato dall'arrivo improvviso della terza figlia 'romana', Francesca (Micaela Ramazzotti), dalla capitale in cui era stata in collegio. E tra Carlino e Francesca è amore a prima vista, tanto che la situazione precipita e rischia di mandare a monte 'l'accordo' tra le famiglie ma...
A questo punto la commedia prende la strada di quella degli equivoci e dopo, nel prefinale, vira sul drammatico, ma niente paura si tratta soltanto di un 'colpo di scena'. Chi ama il cinema del regista bolognese apprezzerà la pellicola, ma comunque il pubblico in generale potrà sempre godersi un'ora e mezza scarsa fra lacrime, sorrisi e qualche risata, sentimenti e passioni. Anche perché Avati riesce sempre ad ottenere il meglio dei suoi attori, professionisti e non. Il cantautore e musicista Cremonini (ex Lunapop) è una sorpresa, la Ramazzotti sempre più in ascesa, Roncato, secondo il produttore Antonio Avati, "non solo si è confermato un comico di razza ma si è rivelato anche un grande attore completo". E nel cast ci sono anche la rediviva Sydne Rome (la zia Enrichetta), Massimo Bonetti (lo zio Umberto Vigetti), Gisella Sofio (Olimpia Osti) e Alessandro Haber che è la voce narrante di Edo adulto.
E il regista riesce a giocare anche con i dialetti senza mai cadere nella volgare macchietta (Francesca e la madre sono romane veraci), e poi, grazie alla collaborazione della Film Commission delle Marche il film è stato girato (quasi) tutto dal vero, non solo riducendo i costi ma anche donando genuinità al racconto. Le musiche, sempre in sintonia con il mondo e le atmofere del regista, sono di Lucio Dalla.
Ma oggi è anche il turno di "Un cuento chino" (Un racconto cinese, anche nel senso di favola) dell'argentino Sebastian Borensztein con Ricardo Darin, volto noto anche internazionalmente grazie ai film premiato come "Il figlio della sposa" e il premio Oscar "Il segreto dei tuoi occhi". Una commedia realistica e al tempo stesso surreale per affrontare un tema come l'assurdità di alcuni fatti della vita che sembrano incredibili ma sono talmente veri e toccanti che ci spingono a riflettere su altre assurdità (inclusa la guerra) che accompagnano l'esistenza di tutti noi.
Roberto (Darin), introverso e solitario proprietario di un negozio di ferramenta, vive da vent'anni quasi senza contatti col mondo dopo un dramma che l'ha profondamente segnato (ma che lo spettatore scoprirà verso la fine). Per caso si imbatte in Jun (Ignacio Huang-shen), un cinese appena sbarcato in Argentina senza conoscere una parola di spagnolo, in cerca dello zio, unico parente ancora in vita. Incapace di abbandonarlo, Roberto lo accoglie in casa: nonostante la sua insofferenza, attraverso la singolare convivenza (forzata) troverà la strada per risolvere la sua grande solitudine, non senza aver svelato all'impassibile, eppure tenerissimo Jun, che le strade del destino - o i casi della vita - sono imprevedibili.
Una commedia in raro equilibrio fra sentimenti e risate, emozioni e lacrime, senza sbavature né tempi morti, infatti dura solo un'ora e mezza ma è ricca di spunti e di particolari gustosi. E la bella notizia, soprattutto per il pubblico, è che uscirà nelle sale italiane distribuito da Archibald.
José de Arcangelo