sabato 3 settembre 2011

Epidemie globali e cose dall'altro mondo sugli schermi della 68a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia


Ancora due film in concorso per il quarto giorno della 68a. Mostra al Lido: il francese “Poulet aux prunes” dell’iraniana Marjane Satrapi – che dopo “Persepolis” debutta nel film a soggetto - e Vincent Paronnaud, e il greco “Alpis (Alps)” di Yorgos Lanthimos. Evento fuori concorso con “Contagion” di Steven Soderbergh (dal 9 settembre in sala), accompagnato dal super cast (presenti Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Laurence Fishburne, Jennifer Ehle, la Winslet al terzo film; assenti Jude Law e Marion Cotillard) , e “Sal”, opera prima dell’attore James Franco nella sezione Orizzonti. In Controcampo Italiano, “Cose dell'altro mondo” di Francesco Patierno, accolto con entusiasmo e applaudito alla proiezione stampa e preceduto da polemiche da parte della Lega; e il lungometraggio “Quiproquo” di Elisabetta Sgarbi, che il 5 presenterà altri suoi cortometraggi.

“Pollo alle prugne” narra una vicenda ambientata a Teheran nel 1958. A Nasser Ali Khan, celeberrimo virtuoso del violino, hanno rotto lo strumento prediletto. Non riuscendo a sostituirlo con nessun altro che possa essere all’altezza, la vita senza musica gli risulta intollerabile. Rimane a letto indugiando sempre più in pensieri che vanno dalla sua giovinezza al futuro dei figli. Nel corso della settimana che segue, e col dispiegarsi di questa storia avvincente, comprendiamo il suo toccante segreto e la profondità della sua decisione di abbandonare la vita per la musica e per l’amore.
“Sotto la sua aura romantica – dichiarano gli autori -, il film è concepito come un thriller con flashback e flash-forward che fanno luce sulla personalità di Nasser e i motivi della sua disperazione. La morte è usata come un pretesto per parlare della vita. I temi centrali del nostro film sono le complessità del mondo e i misteri dell’animo umano. È grazie a ciò che il film può muoversi tra registri diversi, dal drammatico, al comico, allo straziante, perché la vita è proprio così. Quello che ci interessa non è se Nasser morirà né come, ma perché. ‘Persepolis’ (il precedente lavoro d’animazione della Satrapi ndr.) racconta la storia di una famiglia intrappolata nelle avversità della guerra e della rivoluzione tra il 1974 e il 1994. ‘Poulet aux prunes’ copre la storia della stessa famiglia tra il 1930 e il 1990”.

Un’infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore – protagonisti di “Alpis” - hanno creato un servizio a pagamento, consistente nel sostituirsi a persone morte su commissione dei parenti, degli amici o dei colleghi del deceduto. La società si chiama Alpis, mentre il loro capo, il paramedico, si fa chiamare Mont Blanc. Anche se i membri operano sotto un regime di ferrea disciplina imposto dal capo, l’infermiera si rifiuta di farlo…

Il thriller, solido e inquietante, di Soderbergh ‘Contagion’ segue il rapido sviluppo di un virus letale trasportato dall’aria che uccide nel giro di pochi giorni. Col rapido diffondersi dell’epidemia, la comunità medica mondiale si affretta a trovare una cura e controllare il panico che si diffonde più velocemente del virus stesso. Nel frattempo, la gente comune si sforza di sopravvivere in una società allo sbando. Un teso mix di spettacolo – sulla scia del miglior catastrofico – e riflessione sulle ansie e le paure della società contemporanea, dove si acutizza sempre più una sorta di lotta per la sopravvivenza di vecchia memoria.
E a proposito di autore e film, Soderbergh cita Joseph Losey: “Credo che il bisogno di spiegare abbia un effetto negativo su ciò che si fa. Se avessi potuto girare un film dopo l’altro inframmezzato da un breve, adeguato periodo di riposo senza mai rispondere a domande su ciò che avevo fatto o che avrei fatto dopo, credo che il mio lavoro sarebbe stato un po’ migliore. Ma è una necessità, e quando si lavora in un medium che dipende dai soldi, non farlo è assurdo. Persino Antonioni ora vi è stato costretto”. Anche se poi in conferenza stampa un po’ ne ha parlato, sostenuto dallo sceneggiatore Scott Z. Burns, e soprattutto sull’approccio realistico del thriller.
“E’ il frutto di una lunga discussione con Scott – ha dichiarato. Quando mi propose l'idea del film avevamo entrambi la sensazione che dovesse essere il più realistico possibile, soprattutto nella parte medica. Tutto doveva essere plausibile e accurato altrimenti non avremmo potuto dare il nostro contributo a questo genere così particolare. Anzi, per dirla tutta mi sono ispirato ad un film di culto come ‘Tutti gli uomini del presidente’. Volevo che il risultato finale avesse uno stile pulito e diretto, per arrivare al giusto grado di realismo”.
Quindi una pellicola tesa e asciutta che dovrebbe mettere d’accordo critica e pubblico perché coinvolge e tocca tutti. Ne riparleremo alla sua uscita (mondiale) in sala la prossima settimana.
L’attualità irrompe anche in “Cose dell’altro mondo” con cui Patierno torna al cinema e cambia registro. Dal duro e crudo realismo di “Pater Familias” e quello intimistico del “Mattino ha l’oro in bocca”, il regista passa alla commedia tout court, grottesca e satirica (ma nemmeno tanto corrosiva come sostengono i leghisti che nemmeno l’hanno visto), ma in fin dei conti debole, a tratti superficiale. Resta una bella idea (fantapolitica) di partenza non sfruttata a dovere.
Mettiamo una bella, civile e laboriosa città del Nordest. Mettiamo che questa città abbia una percentuale alta di lavoratori immigrati, tutti in regola e ben inseriti. E mettiamo, per esempio, che un buontempone d’industriale si diverta a mettere quotidianamente in scena un teatrino razzista: iperbole, giochi di parole, battute sarcastiche, tutte, ma proprio tutte, così politicamente scorrette da risultare esilaranti. Mettiamo che un giorno il teatrino si faccia realtà, che gli immigrati, invitati a sloggiare, tolgano il disturbo. Per sempre. Ci troveremo nel caos perché nonostante la disoccupazione dilagante alcuni lavori non li fa più nessun italiano, anche perché nemmeno ce li offrono più…

“Si può vivere senza kebab? – si chiede Patierno -. Da qui sono partito per costruire una commedia di costume che riflettesse, in un mondo ormai globalizzato, su come sarebbe oggi la nostra vita senza la presenza dello ‘straniero’. Di fronte a un’ipotetica sparizione degli extracomunitari la nostra prima reazione è di timore per il contraccolpo economico che subirebbe il nostro paese. Ma il film pone invece un’altra domanda: ne sentiremmo anche la mancanza dal punto di vista emotivo?”

La Sgarbi sempre attenta all’arte e al suo mondo stavolta ‘indaga’ sulla ‘morte’ dell’avanguardia. Chi può ancora usare, senza tradire un sorriso, la parola “avanguardia“? “Avanguardia“ è una parola che appartiene all’archeologia della cultura, come si parlasse dei Fenici che ci hanno tramandato le lettere dell’alfabeto? Oppure è una parola che, vivendo, come vive, nell’uso comune del nostro linguaggio, designa qualcosa di ancora vivo e operante, fosse pure nel segno dell’aspirazione utopica o vagamente sognante? E le “Avanguardie“ davvero tali, quelle che, lancia in resta, partirono all’assalto del ventesimo secolo, che cosa hanno a che fare con le ultime avanguardie, le neoavanguardie, il Gruppo ’63, la Transavanguardia? E con Giotto? E, ancor di più, che cosa hanno in comune con un cardiochirurgo che brevetta un sistema per operare la valvola mitralica o con una giovane che studia nuove forme di polimeri per costruire case nello spazio? Umberto Eco, Rossana Rossanda, Ludovico Corrao, Vittorio Sgarbi, Achille Bonito Oliva, Angelo Guglielmi, Nanni Balestrini, Enrico Ghezzi, il cardiochirurgo Ottavio Alfieri e molti altri: tutti sollecitati dalle domande del filosofo Eugenio Lio tentano di guidarci in questo felicemente esploso ‘qui pro quo’ dell’avanguardia.
In “Sal”, James Franco racconta le ultime ore della vita dell’attore Sal Mineo, ex idolo giovanile e protagonista di film di grande successo come “Gioventù bruciata” ed “Exodus”. Benché ispirato a eventi reali, non è un biopic tradizionale; ci conduce infatti in un viaggio intimo che ripercorre l’ultimo giorno della vita di Mineo. Il 12 febbraio 1976, Sal Mineo non era più il fenomeno di un tempo, ma, dopo anni di penosi insuccessi, stava finalmente trovando la strada per diventare l’attore e regista che a lungo aveva desiderato essere. Avrebbe dovuto girare il suo primo lungometraggio e mancavano solo pochi giorni alla prima di una pièce che gli aveva già procurato recensioni entusiastiche a San Francisco. La vita di Mineo si stava finalmente assestando quando fu brutalmente troncata da un aggressore solitario e da un delitto insensato. In “Sal” lo spettatore ha accesso al mondo di Mineo, assiste alle sue ultime ore, con gli alti e i bassi, i momenti elettrizzanti e quelli banali, che finiscono con il condurre a una conclusione scioccante e orrenda.
“Quando fu assassinato – dice Franco -, Sal Mineo aveva 37 anni ed era sul punto di rilanciare la sua carriera. Aveva iniziato come bambino prodigio, e a 15 anni recitava a fianco di James Dean in ‘Rebel Without a Cause’, film che valse a entrambi una candidatura agli Oscar. Da giovane Sal ebbe un successo incredibile, sia come attore, sia come cantante; ma dai vent’anni in poi, per motivi in parte indipendenti da lui, perse la stima di cui aveva goduto all’inizio della carriera. Da ventenne e trentenne stentò a trovare lavoro, senza raggiungere mai il successo di cui aveva goduto in precedenza. Visse cioè la tragedia comune a tanti artisti, totalmente dedicati al proprio lavoro ma senza sbocchi. Ma fino all’ultimo Sal si batté per la libertà d’espressione, sforzandosi di trovare il modo per creare opere innovative e interessanti. I giornali scandalistici riportarono la sua uccisione lasciando intendere, senza alcuna prova, che si fosse trattato di una faccenda di droga, o che l’assassino fosse un amante. Da allora il ricordo di Sal è stato macchiato da queste congetture in malafede. Questo film è il ritratto di un artista gentile e sensibile nelle sue ultime ore di vita”.

Alle Giornate degli Autori è passato “Radici” di Carlo Luglio che più che un documentario è, come lo stesso regista dice, “Un viaggio musicale con Enzo Gragnaniello nella memoria di una Napoli di ‘sotto’, dei suoi luoghi magici, mitologici e storici. Ma anche un percorso nella città di ‘sopra’, attraverso i suoi monumenti e i quartieri più vivi, sempre punteggiato dalle performance realistiche e oniriche di Gragnaniello con i Sud Express che si intrecciano in siparietti con artisti partenopei come Tony Cercola, Marialuisa Santella, Enzo Moscato, Riccardo Veno, Franco Del Prete e James Senese, e con l'apporto di immagini cinematografiche di repertorio di una Napoli del dopoguerra e degli anni Settanta. Il progetto nasce dall’esigenza di valorizzare un’altra Napoli mitologica e magica ma altrettanto viva nei millenni attraverso la guida musicale di un interprete sanguigno come Gragnaniello che ha saputo interpretare le svariate anime delle nostre radici: quella lunare, quella solare e quella popolare”.
Quindi, non il solito documentario ma un percorso tra musica e poesia, magia e misteri, spazio e tempo, memoria collettiva e ricordi personali, emozioni e riflessione.
José de Arcangelo