domenica 26 giugno 2011

Pesaro 47. Una carrellata da San Pietroburgo alla Siberia con i documentari russi

PESARO, 26 – In attesa della cerimonia di premiazione, tra ieri e oggi sono stati proiettati gli ultimi documentari russi alla presenza degli autori, tra altri film (della retrospettiva Bertolucci), si sono svolti incontri ed eventi alla 47a. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema.
Interessantissimo “Rerberg & Tarkovsky: the Reverse Side of Stalker” di Igor Majboroda (2008) che è soprattutto il ritratto del direttore della fotografia Georgij Ivanovic Re
rberg (1937-1999),
uno dei più leggendari della cinematografia russa, e del suo rapporto col maestro Tarkovskij. Come in un giallo, Majboroda indaga ricostruendo i retroscena di “Stalker” (1979), smitizzando e rendendo più umana la sua figura ma anche svelando un’altra verità. Infatti, per anni la storia del celebre film è stata raccontata dal punto di vista dell’autore rintracciabile nei suoi diari pubblicati dopo la sua morte, in cui ha accusato amici e collaboratori per le disavventure occorse sul set. Ma si sa, la verità non è mai una soltanto. “Una vera tragedia umana – afferma Majboroda – ha avuto luogo durante le riprese di Stalker”.
Diverso l’approccio e originale il risultato di “Isole, Aleksandr Sokurov” di Svetlana Proskurina (2003), perché si tratta dell’omaggio da parte di una collaboratrice (sceneggiatrice) e amica al maestro russo, scoperto anche dal pubblico italiano negli ultimi vent’anni. Un ritratto intimo e obiettivo costituito dall’intreccio di montaggio di monologhi e riflessioni del regista sulla vita e sull’arte, alternati da immagini delle riprese sul set di “Arca russa”, di cui la regista dice: “Ogni fotogramma contiene tutta la storia del cinema mondiale”.
Originali ed attuali anche i documentari di Alina Rudnickaja “Stato civile” (2005) e “Accademia di Escort” (2007).Il primo, attraverso le riprese del passaggio delle coppie in un ufficio dello stato civile, parla con disarmante ironia di matrimoni e divorzi nella Russia di oggi. L’altro, invece, affrontando un argomento scottante anche da noi, documenta le vicende di un gruppo di ragazze di San Pietroburgo che, nel tentativo di trovare una strada per una vita stabile e prospera, frequenta una scuola creata per formare vere e proprie escort. Così partecipiamo alle grottesche giornate di ‘studio’, fra timidezza e paure, angosce e ambizioni delle giovani della Russia contemporanea, disposte a tutto pur di vivere nel lusso.
Documentario insolito e s orprendente quello di Galina Krasnoborova che miscela e confonde realtà ed arte, sperimentazione e tradizione. “Nove canzoni dimenticate” (2008) ci porta all’interno di un piccolo gruppo etnico siberiano di origini ugro-finniche, quello dei Komi-Permiacchi (territori del Perm’ dove è nata la stessa regista trentenne) che vive negli Urali settentrionali. Quindi una ricerca inedita tra suggestione e mistero, paesaggi innevati e atmosfere inquietanti, spiriti e imprecazioni, canti e preghiere (di lutto) per il quadro di una comunità in fuga, una riflessione sulla tradizione, la memoria e l’oblio. Non a caso della stessa regista, al Dopofestival, è stato presentato “Insonnia” (2007), un cortometraggio di video arte sulle notti bianche di San Pietroburgo, tra insonnia, appunto, e sogno ad occhi aperti; tra arte e poesia.
Particolari ed insoliti i documentari di Pavel Medvedev, nessun commento, la narrazione avviene tramite le immagini che prima intrigano poi coinvolgono e di cui, solo alla fine, con una frase, ci verrà rivelato il ‘contenuto’, ma a questo punto – forse – già l’abbiamo scoperto da soli. E’ così che Medvedev ci conquista e ci rende partecipi di vicenda e personaggi. “Ascention” (2008) è incentrato sulla (costosa in tutti i sensi) conquista dello spazio, una corsa che ha visto impegnate allora le due superpotenze Urss e Usa. Un’impresa durata oltre vent’anni che pian piano perse interesse dopo il celebre allunaggio. Dalla cagnetta Laika a Gagarin, dalle scimmiette a Valentina Tereschkova. Attraverso cronache sconosciute, spezzoni di filmati e materiale d’archivio, il regista rende il racconto più che interessante, cercando di ricostruire il percorso d’indagine e scoperta che ha portato l’uomo alla maturazione nel progresso. Una sorta di decostruzione del mito del cosmo e dei sogni ad esso legati durante la guerra fredda.
Dall’altra parte “On the Third Planet From the Sun” (2006), racconta la vita quotidiana all’interno di un sito dove per decenni si sono svolti test nucleari. Il documentario, risultato di un’osservazione di lunga durata ma fotografato e girato in modo preciso e perfetto come fosse un film di finzione, è stato girato nella lontana regione di Arcangelo, nella Russia settentrionale dove la popolazione locale ha iniziato a raccogliere i cosiddetti ‘rifiuti dello spazio’ nelle paludi vicine e a venderli come rottami di ferro oppure a riciclarli nella vita quotidiana. Il corto (32’) ha vinto il Grand Prix al Festival del cortometraggio di Oberhausen nel 2007.
Ma oltre ai lavori provenienti dalle celebri scuole di Mosca e San Pietroburgo (già Leningrado, sede dei famosi studi), a Pesaro sono stati visti documentari della lontana Siberia, come quelli di Evgenij Solomin che, attraverso storie contemporanee, ci mostra come il paesaggio e la vita quotidiana sembrano immutati. “Countryside 35x45” (2009), ambientato nella freddissima e sperduta regione, racconta il passaggio dalla tradizione alla modernità. Infatti, 35x45 è il formato delle fototessere, reso obbligatorio dalle autorità russe, per i nuovi passaporti che sostituiscono quelli dell’era sovietica. L’originalità del racconto risiede nell’usare le fototessere, scattate dal fotografo Ljutikov, per registrare il passaggio dall’Urss alla Russia di oggi. Una trasformazione definitiva, apparentemente drammatica, ma che di fatto sembra non (com) portare nessun cambiamento.
“Katorga” (2001), fin dal titolo ci riporta su questa strada, infatti così venivano definiti nella Russia zarista (ma anche successivamente) i penitenziari in cui i condannati scontavano lunghe pene in luoghi sperduti, lavorando duramente. Solomin racconta la storia del detenuto Igor Ibragimov che sconta la sua condanna nelle fonderie (obsolete e quindi pericolose) di una prigione siberiana. E l’unico che viene a trovarlo in carcere è l’anziano padre. La sua vicenda raccontata in questo modo diventa una sorta di ritratto dostoevskiano di un giovane uomo vittima di un intollerabile destino. Il documentario è stato presentato al Festival du Reél di Parigi e all’International Leipzig Festival for Documentary and Animated Film.
José de Arcangelo