giovedì 9 settembre 2010

Al Lido, l'Italia in un horror (Costanzo) e un western (Cecere) dei sentimenti

Dopo la pioggia (per due giorni di seguito) è arrivato il sereno, e uno splendido sole, al Lido dove è stato presentato il quarto e ultimo film italiano in concorso, “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo, tratto dal romanzo omonimo di Paolo Giordano, che è stato accolto dalla stampa da un grande applauso e qualche fischio. Ma si sa dalle pellicole tratte da opere letterarie difficilmente si resta soddisfatti, anche quando l’autore stesso – come in questo caso - ha scritto la sceneggiatura col regista, perché ognuno ha nella memoria “le proprie immagini” (e le impressioni / emozioni) del testo originale. Poi, il fatto che Costanzo si appelli all’horror per smorzare la cruenta realtà del dolore e della solitudine non è stata ben accolta da tutti.
La storia per chi ancora non ha letto il premiato romanzo-esordio di Giordano, il più giovane a vincere il Premio Strega e poi il Campiello, che è stato anche star in passerella a Venezia. I numeri primi sono divisibili soltanto per uno e per se stessi. Sono numeri solitari e incomprensibili agli altri. Alice e Mattia sono entrambi “primi”, entrambi perseguitati da tragedie che li hanno segnati nell’infanzia: un incidente sugli sci per Alice, che le ha causato un difetto a una gamba; la scomparsa della sorella gemella per Mattia. Quando da adolescenti si incontrano nei corridoi di scuola, riconoscono il proprio dolore l’uno nell’altra. Crescendo, i loro destini s’intrecciano in un’amicizia speciale, finché Mattia, laureatosi in Fisica, non decide di accettare un posto di lavoro all’estero. I due si separano per molti anni e sarà una sequenza di eventi a ricongiungerli, per riportare in superficie una quantità di emozioni mai confessate.
Quindi un ‘horror dei sentimenti’ da amare o da odiare, costruito con la sapiente professionalità dall’autore di “Private” e “In memoria di me”.
“Mi hanno proposto il romanzo in un momento in cui non ero interessato a una storia d'amore – confessa Costanzo -. Dopo però il libro è cresciuto moltissimo, commercialmente, diventando un segno popolare. Allora mi sono proposto come sceneggiatore e ho iniziato a collaborare con Paolo (Giordano ndr.). E solo alla fine ho deciso di fare la regia”.
“Il dolore presente nel romanzo è tale che se non si stempera un po' diventa irrappresentabile – afferma il regista -. L'horror permette di rileggerlo attraverso l'ironia, offre la libertà di sdrammatizzare. La musica che apre il film è un pezzo dei Goblin (autori delle musiche di ‘Profondo rosso’ ndr.) e il coretto presente nella parte dell'infanzia è di Morricone, tratto da ‘L'uccello dalle piume di cristallo’. Quando giravamo la musica era sul set, l’operatore di macchina ce l’aveva nelle cuffie e gli attori recitavano sopra la musica”.
Passati in secondo piano gli altri film della giornata: “13 Assassins” di Takashi Miike. “Notizie degli scavi” che segna il ritorno di un Autore come Emidio Greco, “That Girl in Yellow Boots” di Anurag Kashyap e “Zebraman 2”, ancora di Miike, fuori concorso.
Il film in concorso firmato dal regista giapponese cult Miike è il remake di un samurai-movie anni Sessanta e fonde, quindi, tradizione e modernità sia nella narrazione sia nello stile, tanto che il tocco dell’autore verrà fuori nel finale, dove trionfano l’ironia e l’iperrealismo esasperato. Il nobile samurai Shinzaemon Shimada riceve in segreto l’incarico di assassinare il crudele signore feudale Naritsugu in seguito alla sua violenta ascesa al potere. Insieme a un gruppo di abilissimi colleghi, Shinzaemon progetta un’imboscata per catturare il feudatario. Naritsugu, però, è protetto da un micidiale esercito capeggiato dallo spietato Hanbei, acerrimo nemico di Shinzaemon, e gli impavidi samurai sanno che stanno per avventurarsi in una missione suicida. Shinzaemon e i suoi uomini trasformano un piccolo villaggio di montagna in una trappola mortale, ma all’arrivo di Naritsugu scoprono che il nemico ha una superiorità numerica di quindici a uno. È giunta l’ora per i 13 intrepidi assassini di affrontare la morte in un’epica battaglia con esplosioni infuocate, diluvi di frecce e clangore di spade.
L’altra pellicola dell’autore giapponese – fuori concorso – è il sequel di “Zebra man” proiettato nei giorni scorsi, sorta di avventura grottesco-satirica sulla scia del trionfo dei supereroi nei fumetti e sul piccolo e grande schermo non solo nipponici.
Quindici anni sono trascorsi dall’epica battaglia tra Zebraman e gli alieni… Nel 2025, Zebra City è una metropoli modello dove si sperimentano riforme politiche. Uno di questi esperimenti è “L’Ora della Zebra”. Ogni giorno alle 5:00 e alle 17:00, per cinque minuti, la legge permette ogni sorta di atto criminale! I potenziali criminali vengono annientati, e insieme a loro, anche i malati e gli anziani. Dall’entrata in vigore dell’Ora della Zebra il tasso di criminalità inizia a diminuire, rendendo Zebra City la metropoli più sicura al mondo – e finalmente il nero e il bianco sono chiaramente distinti! Sulle strade di Tokyo, completamente trasformate, Shinichi si risveglia all’improvviso: ha perso la memoria. Sono esattamente le 5:00 – comincia l’Ora della Zebra! Ed ecco che un agente della Zebra-Polizia apre il fuoco contro di lui. Nell’area destinata agli sfollati, Shinichi incontra Asano-san, un dottore, e Sumire, una misteriosa giovane. Quando Shinichi la sfiora, su una parte del suo corpo spuntano strisce da zebra e nel medesimo istante recupera la memoria! Yui è presa da violente convulsioni… È l’inizio di una battaglia in bianco e nero tra il Bene e il Male, e la posta in gioco è il destino dell’umanità!
Tratto dall’omonimo racconto di Franco Lucentini, l’opera di Greco (da “L’invenzione di Morel” a “L’uomo privato”) è un dramma delicato ma ancora attuale, perciò il regista stesso l’ha riadattato riportandolo dagli anni Sessanta all’oggi.
Soprannominato ironicamente il “professore”, il protagonista è un quarantenne (Giuseppe Battiston) dall’aspetto scialbo, dall’espressione assorta e stupita. Apparentemente chiuso alla coscienza, ha nei confronti delle cose un’attenzione spiazzante e imprevedibile, che lo porta a distrarsi, inseguendo il filo di un pensiero spesso incongruo rispetto alle contingenze. Conduce una grama vita di tuttofare in una casa equivoca, a Roma, finché la piattezza della sua vita viene scossa dalla conoscenza della Marchesa (Ambra Angiolini), una prostituta che in passato era una della casa, e che ha tentato di suicidarsi per una delusione d’amore. Il “professore” va a trovarla in ospedale e in un crescendo di attenzioni, di piccoli favori, di gesti semplici e gentili complicità, sembra che tra i due possa nascere un improbabile sentimento di simpatia. Ma un altro episodio inciderà più profondamente nella coscienza dell’uomo: la visita agli scavi di Villa Adriana, a Tivoli. Sarà la bellezza e la suggestione dei reperti archeologici a risvegliarlo alla coscienza, in uno scambio e un intreccio di significati con la mediocrità della sua vita.
L’indiano “Quella ragazza dagli stivali gialli” narra, invece, la ricerca di Ruth per ritrovare il padre in un luogo a lei estraneo, Mumbai. Per disperazione, la ragazza accetta un impiego, senza permesso di lavoro, in un salone di massaggi dove offre il “lieto fine”. Il film è ambientato nella brulicante metropoli, una città che chiede a gran voce spazio e indipendenza eppure esita a farsi trascinare nelle implicazioni politiche di questa richiesta. Una città dotata di un’identità unica che cerca di integrarsi ma anche di tenersi a distanza dalle proprie radici e in cui ognuno vuole la sua parte. Anche Ruth si trova in una condizione simile sullo sfondo di questo territorio estraneo e insieme stranamente familiare, in cui ognuno vuole un pezzo della sua vita.
Tra gli altri film in programma oggi, anche “Il primo incarico” di Giorgia Cecere, in Controcampo Italiano, cui è seguita la cerimonia di premiazione della sezione. Il premio è andato – giustamente – a “20 sigarette”, opera prima di Aureliano Amadei – unico sopravvissuto (civile) alla strage di Nassirya - e una menzione speciale per il suo protagonista Vinicio Marchioni.
Definito dall’autrice un western dei sentimenti e con Isabella Ragonese (la madrina del festival) protagonista, “Il primo incarico” è ambientato nell’Italia del 1953: Nena, una ragazza del Sud, deve trasferirsi lontano da casa per il suo primo incarico come maestra. Le dispiace, non perché lascia sua madre e sua sorella – con loro è tutto chiaro e, a volte, duro. Ma soprattutto perché in paese ha una storia d’amore importante, cui crede molto, con un giovane dell’alta borghesia che sembra ricambiarla sinceramente. Si promettono che nulla cambierà tra di loro, “è solo fino a giugno”, poi lei chiederà il trasferimento. Così parte, un po’ triste e un po’ curiosa di ciò che l’aspetta. Però ciò che trova è ben diverso da ogni sua immaginazione, anzi è molto peggio. Una scuola sperduta su un altopiano, ragazzini ingovernabili, gente con cui non ha niente in comune, una natura ostile. Resiste per orgoglio e perché Francesco l’ama anche per quello, per il suo coraggio. Finché in un freddo giorno di febbraio tutto precipita, tutto sembra per sempre perduto. Non è così, non è mai davvero così. Nena lo scoprirà a poco a poco...
José de Arcangelo