mercoledì 21 ottobre 2009

Roma FilmFest. L'Italia diventa protagonista nel raccontare Marzabotto e l'Aquila


ROMA, 21 – Il cinema italiano diventa protagonista del Festival Internazionale del Film di Roma grazie soprattutto all’opera seconda di Giorgio Diritti che, raccontando una storia di un passato da non dimenticare, ci fa riscoprire il potere delle immagini e sentire le emozioni che può (deve) offrire il grande schermo. “L’uomo che verrà” – in concorso nella selezione ufficiale – interpretato da Claudio Casadio, Alba Rohrwacher e Maya Sansa, ricostruisce – attraverso gli occhi di una bambina - la vicenda di una povera famiglia contadina, alla vigilia della strage di Marzabotto: 771 esseri umani sterminati dai nazisti.

Diritti, autore del non dimenticato “Il vento fa il suo giro”, lo fa senza retorica e senza colpi bassi, facendo uso di quella ‘naturalezza’ di situazioni e immagini, tipica del suo cinema, e del dialetto del posto. E, infatti, lui formatosi nel documentario e che ha poi lavorato a “Ipotesi cinema” - la scuola di cinema fondata da Ermanno Olmi -, non può che ricordare i capolavori del maestro, con “L’albero degli zoccoli” in testa. Anche quando ha un suo stile personale e dei tempi diversi.

Il quadro di un quotidiano lento, duro e crudo in un’Italia che non c’è più – quella del fascismo e della Seconda guerra mondiale –, dipinto in modo quasi inedito. Un sobrio dramma (imploso) che sboccerà nella tragedia.

Inverno, 1943. Martina, unica figlia di una povera famiglia di contadini, ha otto anni e vive alle pendici di Monte Sole. Anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni e d’allora ha smesso di parlare. La madre rimane nuovamente incinta (l’azione del film si svolge lungo l’arco dei nove mesi di gravidanza) e la piccola vive nell’attesa del bambino che nascerà (l’uomo del titolo), mentre la guerra pian piano si avvicina e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del comandante Lupo e l’avanzare delle SS. E, infatti, quasi contemporaneamente i nazisti scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti…

Un’altra tragedia, recentissima, viene rievocata dal documentario “L’Aquila bella mè” di Pietro Pelliccione e Mauro Rubeo. Il terremoto che ha distrutto una città e ucciso centinaia di persone raccontato dall’obiettivo cinematografico in una sorta di diario dei giorni successivi e dalla testimonianza dei sopravvissuti. Infatti, il film ha gli occhi di chi a L’Aquila è nato, cresciuto e vissuto. Una troupe che vive nel tessuto sociale della città mostra il “fuoricampo” di ciò che è successo e sta accadendo dopo la catastrofe. Filma la realtà dal ventre delle sue macerie: in gioco è il futuro della propria città, delle proprie famiglie, degli amici, delle case e delle scuole e delle montagne.

Infatti, se alcune immagini vi sembreranno già viste fate caso al commento delle persone e allo ‘sguardo’ della cinepresa, e capirete che è tutta un’altra cosa.

Il film prodotto da Gregorio Paonessa e Valerio Mastandrea, supervisionato da Daniele Vicari, è la prima tappa, in anteprima mondiale, di una documentazione che durerà un anno intero, per raccontare la lunga e complessa storia della “ricostruzione”.

Anche “Immota manet” di Gianfranco Pannone con gli allievi dell’Accademia dell’Immagine de L’Aquila, affronta lo stesso argomento. Ad Aprile, Pannone e gli allievi dell’Accademia del Cinema de L’Aquila, stavano preparando un documentario dedicato a Ignazio Silone. Il sisma di aprile ha fermato tutto, la stessa scuola ha subito ingenti danni. Così è nato questo documentario breve dove convivono le immagini del terremoto e i brani tratti da “Uscita di sicurezza” di Silone. Lo scrittore abruzzese racconta del terremoto del 1915 in cui perse la madre ed altri cari e lascia, infine, un monito rivolto a tutti coloro che approfittarono di quella catastrofe per rimediare affari con i fondi economici destinati alla ricostruzione. Un monito che ci riporta ai timori dei nostri giorni.

Tutta un’altra storia ci aspetta domani con il premio alla bravissima attrice americana Meryl Streep e la cerimonia di premiazione.

José de Arcangelo