sabato 17 ottobre 2009

Giornata nel segno dell'amato George Clooney al Festival di Roma


ROMA, 17 – Terza giornata nel segno dell’amato George Clooney – che ha ‘incrociato’ il collega Richard Gere, fermatosi per l’incontro col pubblico, e ha portato Elisabetta Canalis sul red carpet - al Festival Internazionale del Film di Roma, dove è stato presentato in anteprima “Tra le nuvole” di Jason Reitman, il giovane autore già consacrato alla Festa del Cinema per “Juno”. Una riuscita, divertente e graffiante commedia, più amara che dolce, nell’America della crisi.

Ryan Bingham (Clooney), un esperto tagliatore di teste (incaricato di ‘licenziare’ per conto delle aziende), in superlavoro e superstress per via della crisi, è riuscito a prendere una decisione vitale: si è staccato da tutto e da tutti per avere una vita senza legami. La sua esistenza on the road, di aeroporto in aeroporto, millemiglia dopo millemiglia, è però minacciata proprio quando sta per ottenere da una compagnia aerea il premio fedeltà, un superbingo da dieci milioni di miglia, e subito dopo aver incontrato la donna dei suoi sogni, appassionata di viaggi e alberghi.

Il tutto raccontato con sottile ma pungente ironia, fra la tragedia di chi si trova da un giorno all’altro su una strada e la commedia di chi la provoca ‘involontariamente’ per lavoro (che scaccia lavoro). Dal personale e privato la commedia diventa universale, esasperata da un’attualità di cui siamo vittime un po’ tutti.

‘Soliti problemi organizzativi’ ci hanno fatto partecipare a ‘conferenza stampa’ già iniziata, nonostante fossimo in fila con gli altri giornalisti accreditati da quasi mezz’ora (in anticipo) e non solo, perché siamo finiti in ‘galleria’ e, quindi, senza la possibilità di fare domande. Comunque, siamo riusciti a sapere che Clooney “non è mai stato licenziato”, cioè “non ha mai perso un lavoro” ma qualche volta – soprattutto agli inizi della carriera – è stato disoccupato; mentre ora è lui che sceglie cosa fare, quando non è addirittura produttore e/o regista di se stesso.

“Ho una vita stupenda – confessa – con tanti legami. Amici, famiglia ed altri. Io e Ryan siamo molto diversi, io mi trovo spesso circondato dagli altri, lui è solo. La sceneggiatura era stata scritta anni fa, molto tempo prima del crollo finanziario. Era una sofisticata commedia a tutto tondo. Poi Jason (il regista ndr.) ha introdotto elementi di attualità e lo ha fatto egregiamente senza nulla togliere all’atmosfera della storia. E così, a guardarlo si ride, ma c’è anche molta commozione. C’è molta gente che si identifica con le vittime della logica del profitto, una logica che è diventata dominante”.

“Avevo cominciato a scriverla sette anni fa (con Sheldon Turner, dal libro di Walter Kirn) – ribatte Reitman – e non avevo mai pensato di poter lavorare con George. Infatti, quando ha accettato ero eccitato ed entusiasta all’idea di lavorare con lui. E’ stato splendido e anche facile perché io stavo li a guardare. Credo che gli americani si identificheranno con i personaggi del film, sono fiero del protagonista e orgoglioso dei due personaggi femminili (la donna di Ryan e la sua giovane collega che propone di esercitare la loro professione attraverso internet ndr.). Sono personaggi molto attuali perché l’individuo negli Stati Uniti pensa di non essere solo, visto che oggi è facile interconnettersi. Ti sembra di essere dappertutto ma in realtà non sei da nessuna parte”.

“Capisco molto bene il mio personaggio – aggiunge l’attore -, il suo lavorare ‘sospeso in aria’. Succede anche a me di passare da un aereo all’altro, ma in questi casi ti mancano la famiglia e gli amici. E alla fine ti chiedi quando tempo hai passato con gli amici”.

“Volevo incontrare dei teen-ager per trovare una canzone adatta al film – dichiara il regista -, invece è stato in cinquantenne ha consegnarmi una cassetta. Un uomo che aveva appena perso il lavoro e aveva scritto questa canzone molto lucida e onesta, che riguarda circa un milione di persone, di cui non vedi mai le facce, e alle quali dà voce. E perciò nel film ho fatto lavorare circa 25 persone di Detroit che avevano perso veramente il lavoro, e interpretano loro stessi (le persone licenziati ‘in diretta’ ndr.). Perché oggi chiunque può perdere il posto”.

Consueta domanda sul Nobel a Barack Obama a Clooney e solita (con qualche variazione) risposta: “Ho cominciato a sostenerlo fin dall’inizio. Sono fiero che l’America abbia trovato e scelto Obama, ma tutti lo dobbiamo incoraggiare ed aiutare soprattutto per quel che riguarda il programma di una politica estera per la pace. Avevamo bisogno di qualche grande uomo, un presidente come Roosevelt o Jackson, e l’abbiamo trovato.

Riguardo i futuri impegni, Clooney dichiara: “Ho un paio di progetti, uno sul caso Guantanamo contro Armstrong. C’è in cantiere anche una commedia ma bisogna avere un buon copione ed è ancora presto per parlarne”.

E il regista, figlio d’arte, è costretto a parlare del padre, Ivan Reitman: “Mio padre è un eroe! – afferma orgoglioso -, un grande narratore di storie. Non mi sono mai sognato di avere il successo che ha avuto lui, sono sempre più fiero di mio padre”.

Ovviamente, nel frattempo, ci sono stati anche altri film nelle altre sezioni, eventi ed sono partite le retrospettive. Quella dedicata a Luigi Zampa, con la proiezione della versione restaurata di “La romana” con Gina Lollobrigida; e quella su Meryl Streep, premio Marc’Aurelio alla carriera. Fuori concorso / Anteprima è passata l’ultima fatica di James Ivory “The City of Your Final Destination” con Anthony Hopkins, Laura Linney, Charlotte Gainsbourg e Alexandra Maria Lara, l’attrice rumena attiva in Germania e lanciata internazionalmente da Francis Ford Coppola in “Un’altra giovinezza”, proprio alla Festa del Cinema due anni fa. Dal romanzo di Peter Cameron “Quella sera dorata” (Adelphi), ambientato in Uruguay e girato in Argentina, un sobrio ed elegante dramma targato Europa che i più cattivi hanno definito “il solito Ivory”, ovvero “Quel che resta di Ivory”. Per Proiezioni ed eventi speciali, l’interessante documentario musicale “Sound of Morocco” di Giuliana Gamba, che - sulla scia di “Crossing the Bridge: Sound of Istambul” di Fatih Akin, oppure di quelli sulla musica cubana – ci propone un viaggio musicale attraverso le antiche musiche etniche e le odierne contaminazioni o rielaborazioni, come per esempio il rap marocchino dei giovani che l’hanno fatto loro e ne sono orgogliosi. Così, guidati da Nour Edine, musicista marocchino che vive in Italia da vent’anni, conosciamo Abdellah Ed-Douch, giovane e poverissimo berbero che canta il sentimento struggente che lo lega alla sua terra; Omar Sayed, del gruppo rock anni ’70 “Nass El Ghiwane”, definiti da Scorsese i “Rolling Stones dell’Africa”, il primo che ha cantato l’orgoglio musulmano e l’unicità dell’anima e della cultura dell’Islam; fino al festival di Essaouira.

José de Arcangelo