martedì 2 settembre 2008

Venezia 65. Ultime urla della foresta amazzonica nel film di Marco Bechis

VENEZIA, 2 - L’America Latina in primo piano alla 65a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Rimasti fuori all’anteprima stampa di “BirdWatchers – La terra degli uomini rossi” di Marco Bechis, in programma ieri alle 13.00 (dopo la conferenza stampa!) siamo riusciti a “recuperarlo” oggi di prima mattina (8.30), rinunciando alla cronaca di ieri per ovvie ragioni di tempo. In questo modo possiamo parlare dei diversi film sudamericani o girati nel continente presentati in entrambe le giornate. Il film di Bechis – da oggi anche nelle sale italiane - racconta la vicenda degli indios (i veri protagonisti della pellicola) nel Brasile contemporaneo, cioè i sopravvissuti a un genocidio che non ha mai fine e che parallelamente “mangia” la foresta amazzonica. Vittime di una contaminazione (inquinamento) che non è solo ambientale, ma anche dei rapporti tra bianchi e indigeni, tra ricchissimi e poverissimi; della cosiddetta ‘civiltà’ che tiene più agli interessi economici che alla natura e all’uomo stesso. Tra ribellione e rassegnazione, emergono le ultime urla della foresta, rasa a suolo chilometro dopo chilometro per dare spazio ai pascoli che offrono la materia prima alle multinazionali alimentari (leggi McDonald e co.). Un problema che si è via via più aggravato dagli anni Ottanta ad oggi.

Il film parla di tutto questo attraverso la vicenda di un gruppo di indios guaranì, costretti nelle riserve, un tempo legittimi abitanti delle terre che oggi possiedono i fazenderos, campi rubati al Mato Grosso per coltivazioni transgeniche e allevamenti di bovini.

Gli indios conducono una vita miserevole senza prospettive tanto che i giovani spesso si suicidano. Ed è proprio uno di questi suicidi che trasforma il loro disagio in ribellione. Gli indigeni si accampano nella terra dove oggi ci sono i campi di Moreira, ma che è quella dove sono nati e cresciuti, dove sono sepolti i loro antenati. Due mondi contrapposti che prima si incontrano e poi si scontrano, ma il conflitto sembra non aver più una soluzione, soprattutto per gli indios. E il tentativo di giovani di avvicinarsi, tra curiosità e diffidenza, finisce per incrinarsi definitivamente.

Sempre dal Brasile e per la sezione “Orizzonti” è approdato il nuovo film di Julio Bressane, scritto con Rosa Dias, “A erva do rato” (L’erba del topo), adattamento di due racconti di Machado de Assis “Um esqueleto” (Uno scheletro) e “A causa secreta” (La causa segreta). L’opera è comunque sempre nello stile rarefatto e simbolico dell’autore brasiliano, che predilige la sperimentazione e la ricerca nel linguaggio e nella narrazione. Un vero film d’autore – l’anno scorso proprio qui abbiamo visto il suo “Cleopatra” - che racconta l’incontro tra due persone, Lui e Lei, in un cimitero. A un certo punto, inciampando, lei cade e lui la soccorre. Lei è rimasta sola al mondo, lui si offre di prendersene cura per sempre. Lui racconta a lei delle storie che lei trascrive instancabilmente…

Sempre per “Orizzonti” gli altri due film arrivati dal Messico. “Voy a explotar” (t.l. Sto per esplodere) di Gerardo Naranjo è una storia di finzione che però cerca di dipingere il ritratto di una coppia di adolescenti borghesi, ribelli senza causa né prospettive, che scelgono la fuga disperata e l’amore inconsciamente nichilista. Girata con stile e ritmo frenetico ma efficaci che mettono in risalto personaggi e situazioni, quest’opera seconda coinvolge e conquista, non solo i giovanissimi.

Guanajuato, nella provincia messicana: Roman, quindicenne dell’alta borghesia con fantasie violente, e Maru, introversa cresciuta in una famiglia piccolo borghese, decidono di scappare insieme scatenando il panico nella famiglia di lui (il padre è deputato) e paura in quella di lei.

“Due ragazzini disadattati – dice il regista – si innamorano e scappano, in un gesto di sfida, di ribellione ingenua, credendolo atto puramente romantico, privo di conseguenze. Volevo distanziarmi dallo stile naturalistico per adottare una grammatica cinematografica più libera, dando vita a un saggio, un diario (della ragazza ndr.) di idee con musica, parole scritte e dialoghi interiori, usando il montaggio come flusso di pensieri”.

“Los herederos” (Gli eredi) di Eugenio Polgovsky è invece un documentario sulla vita quotidiani dei bambini della campagna, che significa lavorare fin da piccolissimi nella raccolta di pomodori e ortaggi, della ricerca della legna e dell’acqua, della semina, del cibo per gli animali, ma anche nella fabbricazione dei mattoni oppure, se hanno talento artistico, nella realizzazioni di piccolo sculture in legno dipinto. Quindi, un viaggio nella loro quotidiana lotta per la sopravvivenza, così simile a quella dei loro antenati. Una generazione dopo l’altra imprigionata in un circolo infinito di povertà senza scampo. Un montaggio in parallelo delle diverse “attività” dei ragazzini dà alla pellicola un ritmo vivace, così come la mancanza del commento evita di condizionare o annoiare lo spettatore.

Domani, tempo permettendo, parleremo invece dell’afgano “Kabuli Kid” e dell’africano “Teza”, entrambi importanti.

José de Arcangelo