mercoledì 3 settembre 2008

Al Lido, grande ritorno del cinema africano con "Teza" di Haile Gerima

VENEZIA, 3 - Torna in concorso, dopo qualche anno, il cinema africano con “Teza” di Haile Gerima, una coproduzione fra Etiopia, Germania e Francia. Oltre trent’anni di storia etiope attraverso il ritratto di un uomo, Anberber che ritorna al suo paese durante il repressivo regime marxista di Haile Mariam Mengistu, dopo aver passato più di quindici anni in Germania, dove si è laureato in medicina. Ma Anberber è stato vittima di una sorta di amnesia, di shock emozionale: ha perso una gamba ed è tormentato da terribili incubi. Proprio allora raggiunge il villaggio della sua infanzia, l’anziana madre che lo aspetta da anni senza avere più notizie da lui. Pian piano, l’uomo prenderà coscienza del proprio disallineamento e della propria impotenza di fronte alla dissoluzione dei valori umani e sociali del suo popolo. Attraverso i ricordi d’infanzia ma anche tramite gli episodi che, ovviamente rimossi, di efferata violenza di cui è stato vittima lui e tutto il popolo.

Quasi una saga familiar-politica, forse troppo lunga (2 ore e 20’), che però coinvolge e commuove, e lo fa senza retorica né falso moralismo, ci riporta negli anni Settanta della contestazione e dell’impegno sia in Africa sia in Germania: le discussioni, le lotte, il razzismo, la repressione, i rapporti nelle coppie miste.

“Anberber – ha detto il regista – rappresenta un individuo invischiato nella linea cronologica della storia. Per fuggire dal mondo si ritira nella terra della sua infanzia e questo diventerà lo scopo finale della sua esistenza. Immediatamente, però, si trova di fronte ai problemi socio-economici del suo paese d’origine, senza trovare scampo”.

E poi ha concluso: “L’idea di identità e di liberazione rappresenta forse per me e per la mia visione di cinema indipendente il vero obiettivo. Raccontare la storia di qualcuno significa scrivere il nome di qualcuno sulla carta della Storia e farlo onorando le battaglie dei propri antenati è fondamentale per assicurare alle generazioni future documenti che possono permettergli di elaborare una strategia di salvezza. La storia, la cultura e il benessere socio-economico di tutti i popoli di origine africana sono la mia prima preoccupazione, ma la più grande motivazione come regista è preservare la loro umanità”. Infatti non mancano gli accenni al colonialismo italiano, tramite l'autocelebrazione fatta da Mussolini con un monumento rimasto come prova e testimone in mezzo al deserto.

Deludente oltre ogni attesa anche l’altro film della competizione “Nuit de Chien” di Werner Schroeter, dal romanzo di Juan Carlos Onetti “Per questa notte” (Para esta noche), già portato sul grande schermo negli anni ’70, proprio in Italia. Bella cornice (fotografia di Thomas Plenert, costumi di Isabel Branco), grande cast franco-portoghese (come la coproduzione), ma assenza quasi completa dell’inquietante surrealismo del libro. Esterno notte: il quarantenne Ossorio arriva esausto alla stazione di Santa Maria con una folla di profughi e di soldati vinti. E’ tornato in città per incontrare la donna amata, ma scopre che lei è scomparsa e tutto è cambiato: la milizia armata terrorizza il paese, fazioni opposte si scontrano. E, in quella notte decisiva, ognuno cerca di salvare la propria pelle, inutilmente.

Peccato perché dall’autore di “Nel regno di Napoli” (1978) ci aspettavamo ben altro, perché stavolta personaggi e situazioni rischiano di cadere nel ridicolo, la sperimentazione diventa meccanica e la rappresentazione fredda e distaccata, troppo.

“Attraverso il mio lavoro cinematografico – confessa Schroeter – sono alla ricerca delle forze vitali dell’Amore, della Vita e della Morte, forze che cerco di esprimere usando la fantasmagoria e le forme utopiche. Sono rimasto colpito dal lavoro di Onetti; in esso ho potuto trovare idee simili alle mie, per quanto le sue siano filtrate attraverso l’intollerabile esperienza della guerra e del temperamento sciovinista maschile tipico della cultura del Sur argentino. Onetti ci spinge a porci una serie di domande: che cos’è mai questa creatura che chiamiamo essere umano? Da dove traggono origine l’energia, il senso della fatalità e soprattutto la Sehnsucht, il desiderio ardente di malinconia, del genere umano?”. Però stavolta il regista tedesco-francese non ci è riuscito.

La Settimana della Critica ha presentato ieri “Kabuli Kid” di Barmak Akram, una docu-fiction di grande impatto umano ed emozionale perché parla di bambini abbandonati, situazione sempre più allarmante non solo nei paesi in guerra o che le hanno subite fino ad ieri. Infatti, il film è ambientato a Kabul, dove un gentile ed onesto tassista fa salire una donna ‘nascosta’ dal burka con un neonato in braccio, solo che scendendo la sconosciuta abbandona il bebè in macchina. Comincia così per l’uomo – padre di quattro figlie – un’odissea burocratica che prima lo costringerà ad occuparsi del piccolo per almeno due giorni, rischiando di venire accusato lui stesso di abbandono di minore perché non può provare che non sia suo; poi, con l’aiuto di un’associazione di aiuti umanitari internazionali e attraverso Radio Kabul, cerca la madre naturale del bimbo. Ma, come si offrono 100 dollari di ricompensa, se ne presentano quattro…

Un buon film che non annoia né angoscia, perché girato con la leggerezza – nonostante l’argomento – della vita quotidiana, dei piccoli grandi drammi che ogni giorno ci toccano e ci commuovono, ma che trovano soluzione soltanto quando riusciamo a vincere l’indifferenza e l’ipocrisia attraverso la solidarietà e l’impegno umanitario.

Un altro film italiano per le “Giornate degli autori”, il divertente “Un altro pianeta” di Stefano Tummolini che, tramite una domenica al mare, anzi a Castelporziano, ci offre un ritratto di gruppo in una spiaggia alla ricerca di un vero rapporto, gay o etero che sia. Salvatore, muscoli in bella vista e posa da duro, osserva l’orizzonte di dune e, dopo uno sbrigativo ‘rapporto’ gay, si sdraia sul telo. Ma arriva un bizzarro gruppo, capeggiato dalla vivace Stella, e composto dal prof Raffaele, dalla matura Eva e dall’introversa Daniela, a cui si aggiunge il bel Cristiano, attore fiorentino, che colpisce particolarmente Salvatore.

Incontri, scontri, litigi; amicizie che nascono e rapporti che finiscono, ma anche nuove, inaspettate, relazioni. Una commedia garbata che con pochi mezzi e un po’ di idee riesce a intrattenerci tra sorrisi e passioni.

José de Arcangelo