sabato 30 agosto 2008

Festival di Venezia. Kitano e Arriaga non deludono, la "città di plastica" sì


VENEZIA, 29 - Takeshi Kitano non delude nemmeno quando lascia da parte thriller e azione per raccontare un dramma (in commedia), come in questo caso: “Akires to kame – Achille e la tartaruga” che prende spunto dall’arte contemporanea per farci riflettere non solo sulla creatività, ma anche su moda e mercato.

Machisu, figlio unico di un ricco collezionista d’arte, ha una passione infantile per la pittura. I complimenti di un amico del padre lo inducono a sognare di diventare un giorno pittore. Ma il padre finisce in rovina e si suicida. Il ragazzino, diventa un orfano senza più privilegi, tanto che finisce sotto la cura dello zio che, tradito dal fratello, lo maltratta e non lo vuole nemmeno mandare a scuola. Machisu, comunque, continua a dipingere dove gli capita, fa amicizia con un folle pittore dilettante che però finirà tragicamente. Diventato un ragazzo solitario, Machisu riesce a pagarsi gli studi all’accademia di belle arti lavorando in officina. Ma non demorde, muove i primi passi nel mondo della creatività però riceve le prime amare critiche da parte di un gallerista. E, volendo seguire alla lettera i consigli dell’altro, il pittore finisce per “copiare” oppure a dipingere su commissione, abbandonando la sua vera ispirazione. Anche dopo aver sposato Sachiko – convinta di essere l’unica a capire la sua arte – che lo sostiene e incoraggia, Machisu continua a essere un pittore poco quotato e insoddisfatto. E continuerà ancora ad esplorare in modo sempre più radicale, però se vogliamo ‘modaiolo’, la sua ispirazione alla ricerca disperata di un riconoscimento.

“E’ il terzo film della mia trilogia – dice Kitano – sull’arte e lo spettacolo. In ‘Takeshis’ ho voluto raccontare il conflitto psicologico tra me stesso e il mio personaggio mediatico, mentre in ‘Kantoku banzai!’ ho messo in scena il conflitto creativo dell’artista. Con ‘Akires to kame’ ho trovato la risposta a questi quesiti posti nei due film precedenti: è sufficiente essere coinvolti nell’atto creativo. Il successo del pubblico e della critica sono irrilevanti per il processo artistico in se stesso. Quel che conta veramente è continuare il proprio percorso”.

Per il concorso è toccato a “The Burning Plain”, debutto nella regia del messicano Guillermo Arriaga, già ottimo sceneggiatore per Gonzalez Inarritu, con Charlize Theron e Kim Basinger. Ancora un dramma di sentimenti e passioni, raccontato parallelamente in tre tempi diversi – passato, passato prossimo e presente -, non storie incrociate ma la stessa storia che coinvolge la protagonista dall’adolescenza alla maturità.

Infatti, il dramma analizza il legame misterioso e ambiguo che unisce diversi personaggi separati nello spazio e nel tempo. Racconta come in un puzzle, le vicende della sedicenne Mariana che cerca di rimettere disperatamente assieme i cocci della vita matrimoniale dei genitori, in una città di confine col Messico; Sylvia, una bellissima donna di Portland che non riesce più ad avere una relazione vera e deve affrontare un’odissea emotiva per cancellare un peccato del suo passato; la bambina Maria che vive col padre ed è costretta a cercare la madre; infine Gina e Nick, una coppia alle prese con un’intensa relazione clandestina che finirà tragicamente. Ed è questa storia il clou dell’intera vicenda, che però scopriremo pian piano…

“La storia del film – ha dichiarato Arriaga – nasce dal mio profondo amore per la condizione umana e per la natura, che per me in fondo sono una cosa sola. Volevo raccontare storie di amore estremo, basando ciascuna di esse su uno dei quattro elementi: fuoco, terra, acqua e aria; storie in cui fossero la luce, i suoni, gli animali e la vegetazione a dare uno spazio fisico ed emotivo ai personaggi, quasi come il paesaggio stesso si facesse personaggio”.

E i sentimenti e le emozioni, appunto, il senso di colpa, il rimorso, il perdono e la redenzione

Anche il cinese-brasiliano “Dangkou – Plastic City” di Yu Lik-wai, girato interamente in Brasile e parlato in quattro lingue (portoghese, cinese, inglese e spagnolo), è in concorso però ha deluso. Anche perché le aspettative erano tante e sulla carta era tutta un’altra cosa. E’ sì un thriller d’azione di nuova generazione, ambizioso ed eccessivo, ma mette appunto troppa carne sul fuoco e si trascina lentamente verso una fine prevedibile. Peccato perché lo spunto viene dal mix esplosivo di globalizzazione, ovviamente economica, pirateria, mafia-yakuza e criminalità internazionale.

Più divertente e graffiante invece il malese della Settimana della Critica “$e11.ou7! – Sell Out!” di Yeo Joonhan che prende in giro le multinazionali e i reality show – ma anche il cinema orientale mirato per il pubblico occidentale – in un mix di generi che dopo un po’ diventa musical. Certo chi non ama il musical non potrà gustarselo fino in fondo, ma ci sono le trovate e le battute che funzionano anche in italiano.

Altro film della sezione è il norvegese “Lonsj – Pranzo freddo” di Eva Sorhaug, un (melo)dramma sul filo dell’ironia che racconta quattro storie parallele sulla scia di “Racconti da Stoccolma”, anche se qui sono “Racconti da Oslo”. Una donna che, dopo l’improvvisa morte del padre, deve affrontare la vita reale che sembra non aver mai conosciuta, perché viene sbattuta fuori casa; un giovane che vive grazie al sostegno degli altri – e quello che in un certo senso innesca le altre storie - capirà che a un certo punto bisogna arrangiarsi da soli; una giovane coppia con figlioletto non trova l’equilibrio e rischia la rottura; una donna matura ritrova se stessa e la libertà dopo la pensione. Un fatto-citazione-omaggio unisce nella conclusione le diverse storie, stormi di uccelli apparentemente impazziti invade la città, come in “Gli uccelli” di Alfred Hitchcock. Forse gratuito, ma dà all’insieme quell’atmosfera rarefatta e inquietante della nostra società contemporanea.

Per “Orizzonti” abbiamo visto “Zero Bridge – Ponticello Zero” di Tariq Tapa, anche questo una sorta di docu-fiction girata nel Kashmir e che narra le vicende di Dilawar, ribelle diciassettenne che vive nella periferia della città di Srinagar con il severo zio muratore. Per sbarcare il lunario, il ragazzo lavora come apprendista muratore, ma preferisce farsi pagare dagli ex compagni di scuola per i compiti di matematica o fare qualche scippo al mercato. Ma durante una commissione all’ufficio spedizioni, Dilagar incontra la ventottenne Bani e tra i due nasce uno strana rapporto…

Interessante dal punto di vista documentario – infatti ci fa conoscere le condizioni sociali in quella regione dell’India -, “Ponte Zero” dal punto di vista narrativo resta in bilico fra tradizione e ricerca, mentre da quello contenutistico resta ambiguo e irrisolto fino alla fine.

José de Arcangelo