martedì 26 giugno 2007

Festival di Pesaro: Dall'Ucraina alla Calabria, siamo tutti emarginati

PESARO, 26 – Giornata densa, quella appena conclusasi, alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, entrata nel pieno della sua ricca e variegata programmazione. Apertura anticipata alle 9.30 per la rassegna dedicata a Luigi Comencini, mentre Sos Europa.Doc è partita come previsto alle 10.30 (tutte le proiezioni iniziano dopo le 10 per consentire di seguire il Dopofestival che ha preso il via proprio stanotte) con "Half Past Three" del ceco Tomas Hodan ma girato in Ucraina. Un viaggio tra montagne e campagna, dove ancora resistono e non lasciano le loro terre gli anziani o quelli di mezza età che non vedono (e non amano) la città come alternativa, ma preferiscono una serena – anche se di duro lavoro – esistenza in mezzo alla natura. Infatti, il regista dopo varie visite in uno sperduto villaggio ucraino è tornato per dare una risposta (per immagini) alla sua domanda: "Si può veramente condurre un'esistenza felice e appagante in condizioni materiali limitate?" E uomini e donne da lui incontrati sembrano dire di sì, appoggiandosi alla loro filosofia di vita: se non hai i soldi per comprare il latte cercherai una mucca e se la casa brucia ne costruirai un'altra. Cose che in città non puoi nemmeno sognare di fare.

Presentati in giornata i due primi libri. Uno dedicato al videoclip, "Musica per i nostri occhi", firmato Domenico Liggeri ed edito nei Tascabili Bompiani, nonostante si tratti di una sorta di esaustiva enciclopedia sul tema, anzi di un "mastodontico" omaggio al videoclip. Una forma d'espressione che ha avuto il suo boom dagli anni Ottanta in poi, spinto dagli interessi della case discografiche e poi dalla nascita della prima casa di produzione e infine di Mtv, ma nata più di settant'anni fa come conferma l'autore, appassionato, ricercatore e già giornalista professionista. A questo proposito ricorda il binomio jazz-animazione degli anni '30, e poi "Entr'acte" di René Clair, e quelli del geniale duo Bunuel-Dalì, "L'age d'or" e "Un chien andalou". Quindi un genere illustre anche perché fonde in sé – come e più del cinema che ne è una componente – tante arti diverse e rivoluzionando la narrativa tradizionale.

E il volume non trascura i registi (più di 3.500), nati col videoclip e passati al cinema e viceversa, né i musicisti che ne hanno fatto e ne fanno uso, a volte influenzando gli stessi autori, come Madonna con David Fincher ("Seven").

Il secondo libro è dedicato al cinetelefonino, ovvero "Il videofonino. Genesi e orizzonti del telefono con le immagini" di Luciano Petullà e Davide Borrelli, testo che si lega intrinsecamente alle 'vie del festival" che prevede – a partire da oggi – le proiezioni di una serie di corti realizzati proprio con l'amato-odiato videofonino. Infatti sembra che in giro ci siano già più di 60 milioni.

Fuori concorso, non perché fosse un documentario, anzi un work in progress, ma perché già in predicato per Locarno, l'unico film italiano della sezione Premio Lino Micciché: "Ritrarsi" di Tommaso Cotronei. Quasi una fiction perché ha seguito i suoi "personaggi" ben due anni per raccontare la vicenda di due persone, che poi diventano tre, che decidono di restare ai margini del mondo, quindi ritrarsi in un mondo tutto loro, in parte simile a quello degli ucraini di "Half Past Three".

"Un documentario completamente autobiografico – dice il regista – perché mi identifico profondamente con i protagonisti e sto ai margini come loro, e completamente autoprodotto, girato con una telecamera e un computerino portatile. Li conoscevo sono amici di papà e tutto è nato quasi per caso. Sono andato a trovarli e volevo raccontare-capire se erano stati accantonati o era stata una loro scelta."

La vita ai margini di una coppia calabrese, di Vibo Valentia. Il sessantunenne (ma ne dimostra di più ovviamente) Antonio Salimbeni, la moglie Maria Grazia Pardo e, infine, l'anziana Giuseppina Bono che vive con loro da quando i figli l'hanno abbandonata in un ospizio. E gli amici hanno capito che con la sua pensione potevano camparci in tre, anziché l'istituto o qualcun altro.

"Oggi se c'è violenza, dalla Palestina alla Calabria – aggiunge Cotronei – è dovuto alla mancanza di conoscenza. E' evidente che a un certo punto si deva decidere se andare in una direzione o nell'altra. Ho saputo di una storia vera, esemplare, in Calabria. Una coppia aveva due figli, uno è diventato killer, l'altro si è impiccato." L'autore poi parla di politici e sindacalisti, sia di destra sia di sinistra, che spesso evitano di affrontare il problema, anzi cercano di sfuggire alle proposte e alla ricerca di soluzioni, dimenticando che conoscenza e cultura sono alla base di una convivenza pacifica.

Il rapporto mamma-figlio attraverso il documentario "Mother Tongue: italian American Sons & Mothers" di Marylou Tebaldo-Bongiorno e Jerome Buongiorno. Una spassosa e ironica serie di interviste a illustri personaggi italo-americani e alle loro madri. Quindi una serie di mammoni made in Usa, ma italiani doc di origine. Da Martin (e Catherine Scorsese) all'ex sindaco di New York (infatti gli intervistati sono tutti newyorkesi) Rudolph Giuliani e mamma Helen, da John Turturro e mommie Katherine, a Carl e Mary Capotorto. Naturale che vengano fuori polemiche su stereotipi, vecchi e nuovi, ma si sa che la mamma è sempre la mamma, dapperttutto (vedi le "mamme ebree" di Woody Allen), e – particolarmente – in Italia, ammettiamolo! Anche perché lo stereotipo lo hanno rafforzato spesso gli stessi immigrati per restare aggrappati alle radici e qualcosa di molto simile accade con gli italo-argentini e ve lo posso assicurare per esperienza personale.

Presentato, in piazza, il secondo film in concorso, il toccante e al tempo stesso poetico (visivamente) "Mayak – Il faro" di Maria Saakyan (Armenia-Russia). Colta da nostalgia, Lena lascia Mosca per tornare nel villaggio del Caucaso dove è nata e cresciuta, e dove vivono familiari e amici. Ma la guerra e la miseria che ne consegue minacciano non solo lei e i suoi cari, ma anche di cancellare i ricordi e i sentimenti che legano Lena alle proprie origini.

L'opera prima della Saakyan s'impone per le delicatezza del tono nell'affrontare un tema tragico, ma anche per una ricerca dell'inquadratura e dell'immagine che creano un'atmosfera quasi rarefatta, tra sogno e incubo, ricordo e nostalgia, passato e presente.

Va avanti la retrospettiva di Ivan Zulueta con i suoi cortometraggi, che sono quasi l'ottanta per cento della sua intera opera. Sempre originali e provocatori, influenzati e contaminati (da generi non solo cinematografici), come "Parpados" tutto sull'ambiguo gioco del doppio (dai gemelli a uomo-donna che si identificano e scambiano) e "Ritesti" che, attraverso un racconto horror, riprende un'ossessione del regista, le forme circolari all'interno di una storia circolare. In questo caso, una leggenda mediovale che si ripete all'infinito in una pasticceria notturna che accoglie i viaggiatori che hanno perso l'ultimo treno e che ne diventeranno protagonisti. Amore-cuore, rifiuto-infedeltà e vendetta-assassinio.

José de Arcangelo